Il processo in TV

Davanti al palazzo di giustizia di Torino in questi giorni si svolge il processo d’appello per il “caso Cogne”. Lì davanti si accalca una gran folla, tutti in fila, con i numeretti, per entrare un po’ alla volta.
Perchè? Cosa vuole la folla? Come plebe davanti alla ghigliottina, vuole vedere una testa che cade? Oppure tutti se ne fregano e vogliono semplicemente assistere ad un dolore in diretta? A questo punto siamo arrivati?
C’è gente che viene da lontano, altre città, chilometri di strada, ci sono famiglie, qualcuno anche con figli. I cronisti provano a chiedere perchè siano lì, ma nessuno sa rispondere con precisione. Molti dicono di aver visto tante volte in TV la storia di Cogne e della Franzoni e adesso vogliono vedere da vicino, con i loro occhi, questa donna: colpevole di aver ucciso il proprio figlioletto o innocente?
Dibattiti pro e contro l’imputata, esposizione di plastici dei luoghi del delitto, analisi e diagnosi sulla personalità dell’accusata.
Ma poi, da tutto questo marasma salta fuori un profilo psicologico che potrebbe perfino essere il mio, tanto è generico.
E così il processo avviene in TV, il dolore viene trasmesso in diretta.
Ciò che avviene nell’aula ormai conta poco.
Davanti al palazzo di giustizia arriva ancora gente, aspetta la fine.
Ecco la Franzoni, circondata da tutta la famiglia. Si commenta il volto mesto, il taglio dei capelli. La trovi carina? Non lo so, in TV viene meglio. Ecco il difensore, lo sguardo assente come da copione, che promette sempre rivelazioni che non arrivano mai.
Ora tutto è più chiaro: la folla è lì fuori per respirare quella misteriosa, eccitante brezza televisiva che trasforma il vero in finzione e la finzione in verità.
Ma adesso la parola tocca ai giurati. Vespa, Costanzo, Mentana…

L’autunno


Amo l’autunno. E’ la mia stagione preferita. Malinconica, tiepida, piena di colori. Riportare i colori dell’autunno sulla tela non è la stessa cosa: perdono d’intensità e di luce.
Una cara amica del blog mi ha suggerito di fare delle foto. Così, armata di una digitale, l’altro giorno sono uscita in giardino. C’era una luce bellissima ed ho provato a fotografare i colori…
Qualche anno fa piantai un piccolo acero rosso. In autunno è una meraviglia. Guardate un po’…

… Ai miei tempi…

La scienza è attivissima nel produrre tecnologia sempre più sofisticata e superveloce. Ultimamente ho dei problemi nell’uso di internet. Sarà per via di queste offerte promozionali che ci martellano il cervello e la vista: ADSL, Alice, Fastweb, canone zero, tre mesi gratis… siamo tempestati. Tutto questo per rendere più veloce la comunicazsione e… più leggere le nostre tasche. Nessuno regala niente per niente, si dice al mio paese.
Ma la percentuale dell’uso del computer, soprattutto da parte dei giovanissimi, è sempre più alta. Ricordo di aver faticato abbastanza ed ancora fatico nell’usare questo “aggeggio” e rimango di stucco nel vedere, invece, come mio nipote (otto anni) con molta naturalezza usa la sua playstation ed il computer per ore.
Io a otto anni cominciavo a scrivere i miei primi temi. Guardavo giusto un paio di canali televisivi ed un paio di trasmissioni da non perdere: Carosello e la TV dei ragazzi. Un’ora in tutto. Poco più di quarant’anni fa.
Oggi, leggendo il giudizio degli esperti, il bambino non dovrebbe stare più di un’ora davanti ad uno schermo. Lo schermo che intendo è chiaramente quello del videogioco, la televisione ormai è sullo stato di famiglia.
Lui, mio nipote, sta delle ore sempre concentratissimo e velocissimo nelle sue manovre.
“Prova anche tu, zia”, ma io ho tempi e manovre limitate.
Quando lo guardo, chissà perchè mi sento lenta, aggettivo che d’ora in poi diventerà un “tormentone”.
Mi viene da dire retoricamente “ai miei tempi… noi giocavamo a nascondino, a campana, a guardie e ladri, a signore, facevamo capanne sugli alberi, eravamo i padroni del territorio…” Ma la sua indifferenza, mentre muove pupille e pollici, mi spaventa.
In fondo lui è padrone del mondo. E poi non ha un prato e nemmeno un albero, dove porterebbe la sua playstation.
Il cielo che vede sullo schermo non subisce i capricci del tempo. Le botte che prende e che dà non lasciano lividi. E le auto che guida a velocità supersonica non si catapultano. Anche se non lo portano da nessuna parte.

Mejo ride…

Di questi tempi è sicuramente meglio dedicarsi a cose simpatiche e divertenti… Uno dei tanti miei hobbies è quello di far divertire le persone, soprattutto durante festeggiamenti di ogni genere.
Ecco il sonetto (chiaramente in dialetto romanesco) dedicato a mio fratello in occasione dei suoi 25 anni di matrimonio.

NOZZE D’ARGENTO

Era giugno, proprio er cinque,
che bel giorno, che sorpresa,
arrivaste in quella chiesa
a sposavve e a corona’
quer bel sogno de’ tant’anni
che passaste a pomicià.

Chi lo sa se poi quer prete
ha saputo na’ mattina
che a sposavve n’antra volta
sete annati proprio in Cina!

Tra li Budda e i musi gialli,
tra le sete e li risciò,
ve pensavo alquanto arzilli,
consumare su un tappeto,
qualche sera sur comò…

“A Marchè, che se magnamo?”
dice a un tratto l’avvocato
“pollo, riso, du’ formiche,
pe’ contorno un po’ d’ortiche,
me solletica er palato,
ma nun te sei già preparato?
Festeggiamo queste nozze,
co’ sto’ pranzo luculliano,
mo’ però chiamo lo studio…”
Ed il TIM è già in sua mano.

“Quante udienze, quanti processi,
so’ stressata pure in Cina!
Le parcelle nun so’ pronte,
er computer nun cammina…”

E Marcuccio trasognato,
col suo piglio molto arguto:
“Donna manager ho sposato…
va fa in culo a lei e lo studio!”

poi ripenza all’anni passati,
all’affitto, alle bollette,
soldi sempre più contati,
stretti dentro alle mollette.

Mo’ le cose so’ cambiate
e le case so’ aumentate,
sì c’è er mutuo, ce penza spesso,
ma conviene stasse zitto,
“W lo studio, mica so’ fesso!”

“Festeggiamo questo giorno,
mogliettima mia intrigante,
e guardamose un po’ intorno
che la Cina è interessante”.

E mentre vanno a passeggiare
pe’ le strade de Pechino,
tiran fuori er cellulare
pe’ chiamare er figliolino.

Quer bambino cicciottello,
“cattivelli” era chiamato,
ora è alto, biondo e bello
e da loro molto amato.

“Stamo in Cina, figlio caro,
dice Marco tutto eccitato –
lo spettacolo è assai raro, come stai?
hai già studiato?”

“Ah, la Cina… sai papà,
devi sapere che la storia
è molto antica. Marco Polo venne dal mare…”
“A Valè falla finita!
Sto a chiamà col cellulare!!”

E noi quì, parenti e amici,
tutti insieme ad aspettare
questo giorno tanto atteso
pe’ poterlo festeggiare.

Tutti insieme, come allora,
forse meno quarcheduno
ma la vita, sai, è na’ rota
nun se po’ incolpà nessuno.

Puro loro, in mezzo a noi,
ve rifanno tanti auguri,
benedicono st’unione,
come vo’ la tradizione.

Se d’argento so’ chiamate,
io ve auguro co’ loro,
de’ restà sempre felici,
arrivanno a quelle d’oro!!!

Guerra fredda

Sarà perchè da piccola ho giocato troppo al gioco del silenzio.
Fatto sta che, in caso di crisi, appendo al cuore il cartello “Do not disturb” e spengo nel mutismo ogni tentativo di dibattito. Senza dare possibilità di appello.
Forse sarà che non credo tanto al potere delle parole, soprattutto le mie, così quando mi sento ferita o incompresa, tiro fuori l’unica arma che conosco bene: l’indifferenza. Ereditata senza dubbio da mio padre.
Lui, quando era arrabbiato con me, reagiva escludendomi.
E’ come se quel sentimento di abbandono che provavo quando lui mi ignorava, lo facessi subire al marito o alle figlie quando mi fanno innervosire.
Mi rendo conto poi che quello che sembra un esercizio di potere sugli altri, in realtà, è solo una manifestazione di debolezza. C’è il pericolo che, emarginando l’altro, si rimane soli. E non so se ho voglia di rimanere sola…
Ma è uno sforzo tremendo rompere la barriera del silenzio.